27 novembre 2007

[recap] Bellinzona - Sion 2-1

Stadio Comunale di Bellinzona bello pieno per uno degli ottavi di finale della Coppa di Svizzera (manifestazione molto sentita nel paese rossocrociato, sia dalla gente che dai club, i quali a differenza di quanto accade ad altre latitudini non la considerano una pura e semplice seccatura) sulla carta più incerti. Doveva essere la partita del grande ritorno, quello del funambolico Saidu Alade Adeshina, 21 gol in 30 partite nella stagione e mezza spesa in maglia granata, ma Alberto Bigon gli ha concesso solo una manciata di minuti nel finale. Questione di feeling, non ancora pienamente sbocciato tra il giocatore e il tecnico italiano (che in un’intervista sul Corriere del Ticino non ha mancato di palesare una certa insoddisfazione sull’intensità mostrata in allenamento dall’attaccante nigeriano), ma anche parzialmente di modulo, perché nel 4-3-2-1 del Sion nel ruolo di unica punta funziona meglio il nazionale costaricano Alvaro Saborio, meno guizzante e veloce di Adeshina ma più adatto a giocare di sponda e con un “peso” maggiore a centro area, come dimostrato anche dalla girata, su cross di Obradovic, che ha portato in vantaggio il club del Canton Vallese. Bigon ha scelto un approccio di contenimento, con la chiara intenzione di far sfogare il Bellinzona nel primo tempo (dominato dai granata, con Vailati provvidenziale in un paio di occasioni) per poi colpirlo nella ripresa quando la condizione fisica cala e le idee si annebbiano; impostazione più che condivisibile, specialmente quando in squadra si hanno due trequartisti quali Alvaro Josè Dominguez e Goran Obradovic (la personificazione del luogo comune sui giocatori slavi, ovvero genio e discontinuità), inventori di gioco capaci di piazzare la zampata vincente in qualsiasi momento. Ci stava riuscendo meglio Obradovic, in giornata positiva, ma a scombinare i piani del Sion ci ha pensato un Bellinzona tra i più belli visti in stagione, a dispetto della tenuta rosa shocking quantomeno curiosa. Schierati con un 3-4-3 atipico senza una prima punta di ruolo (Pouga era squalificato, Grabbi è entrato solamente nel recupero), gli uomini di Vladimir Petkovic hanno dato vita ad una prestazione tonica, determinata e vitale. Sugli scudi il serbo Ifet Taljevic, sulla carta attaccante centrale del tridente (completato dal classe 86 Senad Lulic e dal classe 88 scuola Fiorentina Alessandro Gherardi, entrambi dinamici e con buona personalità, tecnica discreta, nessun timore a provare la giocata), in realtà un numero 10 completo che ha svariato lungo tutto il fronte offensivo senza sosta per novanta minuti creando e finalizzando (sua la rete del pareggio); il centrale di centrocampo Manuel Garrido Rivera, spiccato senso geometrico e grande lucidità nell’impostare l’azione (peccato per l’autonomia limitata, durante gli ultimi minuti era chiaramente sulle ginocchia); il portiere Lorenzo Bucchi, fondamentale nella ripresa con un intervento alla disperata su Virgile Reset (prospetto interessante, lui e il terzino figlio d’arte Bastien Geiger sono stati un moto perpetuo sulla fascia destra) presentatosi solo davanti alla porta dopo un dribbling stretto in area di rigore. Era il momento di maggior pressione del Sion, con il Bellinzona che aveva arretrato il proprio baricentro perché la fatica cominciava a farsi sentire; il riflesso di Bucchi ha assunto lo stesso valore di un gol, che invece è arrivato nel primo minuto di recupero grazie ad Angelo Raso, dribbling a rientrare dalla sinistra e palla sotto la traversa per scacciare lo spettro dei supplementari da affrontare ormai senza benzina. E la festa ha potuto avere inizio.


Bellinzona (3-4-3): Bucchi 7; Belotti 6, Mangiarratti 6, La Rocca 6.5; Miccolis 5.5, Rivera 7, Wahab 6 (63’ Da Mota sv), Raso 6.5; Lulic 6 (93’Grabbi sv), Taljevic 7.5, Gherardi 6.5 (78’ Conti sv).

Sion (4-3-2-1): Vailati 6.5; Geiger 6.5, Kali 5, Vanczak 5.5, Paito 6 (86’ Bhuler sv); Reset 6.5 (86’ Adeshina sv), Beto 6, Ahoueya 6; Dominguez 6, Obradovic 7; Saborio 6.

Marcatori: 24’ Saborio (0-1), 32’ Taljevic (1-1), 91’ Raso (2-1).

Bellinzona, Stadio Comunale, 25 novembre 2007

ALEC CORDOLCINI

21 novembre 2007

[recap] Svizzera - Nigeria 0-1

Preview:
Prosegue tra polemiche e risultati non esaltanti la marcia di avvicinamento della Nigeria di Berti Vogts verso la Coppa d’Africa 2008. Il match di stasera con la Svizzera sarà l’ultimo test amichevole prima della spedizione in Ghana, e il viatico è tutt’altro che sereno. Battuti 1-0 dall’Australia sabato scorso a Londra, Vogts ha riferito che le maggiori preoccupazioni riguardano il centrocampo, orfano ancora di Obi Mikel (Chelsea)e senza un play maker adeguato al nuovo 433 spurio già provato lo scorso mese nell’amichevole con un Messico sperimentale, alla fine pareggiata 2-2. Tant’è vero che l’idea di Vogts e del suo staff di tecnici nigeriani prevede Kanu, ora al Portsmouth dietro alle punte con due mediani a copertura della difesa in linea a 4. Kanu, capitano delle Super Aquile, è assente come tanti altri (Yobo, Utaka, Yakubu: tutti potenziali titolari), troppi secondo la stampa nigeriana che gradisce poco questi infortuni più o meno diplomatici. E meno ancora la conduzione di Vogts, sul pino della Nigeria da febbraio ma decisamente poco convincente se si tiene conto che la Nigeria è una delle più grandi corazzate del Continente Nero, 19° nel ranking Fifa e appena vincitrice del mondiale under 17 (e molti osservatori vorrebbero addirittura questi campioncini già tra i “grandi”).Insomma, non si può presentare la qualificazione alla coppa d’Africa come biglietto da visita, dunque la missione in Ghana sarà lo spartiacque decisivo: Vogts deve alzare la coppa e convincere altrimenti ad Abuja si prevedono grossi sommovimenti. I tre attaccanti, proposti da un po’, sanno poco della farina del Vogts, ciò significa che esistono già suggeritori influenti e l’equilibrio all’interno dello spogliatoio deve essere tutto verificato: l’idea di squadra deve cominciare a nascere. Coi tre attaccanti, uno dei quali spesso deputato al rientro a centrocampo,si vuole lo spostamento dell’ex Inter Obafemi Martins sul centro sinistra e una punta centrale che con l’Australia è stata il poco convincente Makinwa. A destra, in contumacia Utaka, ha giocato Osaze Odemwingie (ora al Lokomotiv Mosca dopo le buoni stagioni al Lille)ma già stasera può essere provato Uche, del Getafe. La squadra però manca di equilibrio, anche se può incontrare quarti d’ora di ispirazione e trovare la porta avversaria con facilità. La coppia centrale Shittu (Watford) – Afolabi (Sochaux) è forte fisicamente, difetta nelle letture delle situazioni anche se dovesse giocare Obinna Nwanerri del Sion, così come Taiwo (Marsiglia) a sinistra, che però possiede un calcio alla Roberto Carlos e può aprire il gioco in maniera repentina. I già citati problemi di centrocampo(anche per i cali di forma di Yusuf- Dinamo Kiev) non sono stati risolti, almeno per ora, da Okonkwo(Tico, per gli svizzeri) dello Zurigo, deludente in Nazionale, forse potrebbe essere una buona idea, anche già da stasera al Letzigrund, provare Eromoigbe (Levski Sofia) in mezzo al campo e non terzino di destra come ha spesso fatto finora Vogts.
CARLO PIZZIGONI
Fonte: Corriere del Ticino



Recap del Match:
Partita di vigilia. Vero che quella nigeriana è più prossima dato che tra due mesi circa sarà già Coppa d'Africa mentre per l'Europeo manca ancora un po' di tempo, ma la verifica c'è stata, e per entrambe c'è una sonora bocciatura, al di là del freddo di ieri sera (secondo tempo con piedi congelati in tribuna stampa, per noi) e delle assenze piuttosto pesanti, specie nella selezione africana. La Svizzera, come ormai sempre nel post Mondiale, offre prestazioni spesso al di sotto della sufficienza: a difesa schierata si affida quasi esclusivamente alle invenzioni di Barnetta (ieri febbricitante e quindi giustificato del primo tempo anonimo). La punta unica non convince, ma a disposizione c'è poco. Ieri c'è stata la solita insistenza nell'imbucata centrale (con Nkufo in appoggio spalle alla porta) quasi mai produttiva. Poco o nullo l'appoggio delle fasce, la fase migliore della Svizzera rimane quella di recupero palla con Inler, soprattutto, e Gelson: azione ribaltata e possibile conclusione, ieri situazione sprecata continuamente da Gygax, evanescente a dir poco. Non meglio la Nigeria. Linea difensiva incredibilmente disattenta, errori individuali a ripetizione e comportamento di reparto imbarazzante. Nel primo tempo si è vissuto con i lungolinea di Taiwo (che nelle letture difensive è ancora alle aste) per la punta esterna, spesso Uche, benino all'inizio poi piano piano sfiorito. A metacampo soliti difetti d'impostazione, già senza Mikel il continuo palleggio mi pare non produttivo e ieri hanno fatto male, per l'ennesima volta, Yusuf e Tiko: solo sufficiente Etuhu, anche per qualche sberla da fuori che ha preoccupato non poco Benaglio. Pochissimi i cambi di gioco, e quando ci sono stati la Svizzera si è trovata spesso in difficoltà. Attacco a tre, quasi da subito con Odemwingie dietro a due punte: comunque grande mobilità, anche se la costruzione di azioni pericolose, specie nel primo tempo, rimaneva limitata. L'idea di un calcio così attendista da parte di Vogts rimane incomprensibile, specie per le doti di fondo dei nigeriani che fino alla fine, nel freddo di Zurigo, hanno corso senza problemi: organizzare più pressing di squadra e ripartire velocemente: sarebbe devastante l'applicazione con i giocatori a disposizione (a proposito: Obinna a fine partita ha fatto bene - ciò dimostra una certa profondità della panchina delle Super Aquile, viste le assenze-: provarlo prima?).

Svizzera: Benaglio; Philipp Degen (9. Lichtsteiner), Djourou (81. Grichting), Eggimann, Magnin (76. Spycher); Fernandes, Inler; Gygax, Yakin (76. Ziegler), Barnetta (46. David Degen); Nkufo.

Nigeria: Ejide; Ifeyani, Nwaneri, Shittu, Taiwo (87. Afolabi); Etuhu, Ayila (70. Olofinjana), Tico; Uche (78. Obinna), Odemwingie; Makinwa (68. Manasseh).

Gol: 79' Taiwo

12 700 spettatori.
Letzigrund, Zurigo - 20 novembre 2007

20 novembre 2007

[figura] Miguel Veloso

I Leoni vedono meglio delle Aquile. Ultima scoperta scientifica? No, semplice constatazione. In Portogallo è certo, dato che ormai è prassi riscontrare i migliori prospetti nel settore giovanile dei Leoni (Sporting), piuttosto che in quello delle Aquile (Benfica). Ma al Da Luz han fatto pure di peggio. Vediamo. La storia comincia da lontano: fine anni Settanta, piena euforia per l’appena celebrata Rivoluzione dei Garofani che riapre il Portogallo al Mondo. Voglia di costruire, correre. Nel calcio chi lo fa con notevoli risultati si chiama Antonio Veloso, gioca sulla corsia di destra, terzino di spinta, ma ha provato anche a giocare dall’altra parte e in centro: nemmeno la polivalenza gli manca (ah, a questo proposito, facciamoci un nodo al fazzoletto, vien buono più avanti). Antonio Veloso è conteso dalle tre grandi del Portogallo dopo i bei campionati col Beira Mar, e come più di metà dei lusitani ha già scelto: “ voglio il Benfica!” Corre l’anno 1980 quando il nostro esordisce con la maglia rossa delle Aquile in campionato, al suo fianco c’è ancora gente che conta come Chalana, Humberto Coelho, Bento, Carlos Manuel. Antonio diventa titolare fisso l’anno e nessuno lo ferma più. Piano piano entra nella storia della squadra che fu di Eusebio: 15 stagioni di cui 7 da capitano, diventando il secondo giocatore di sempre, dietro solo un monumento come Coluna,come numero di presenze con la fascia al braccio. Aggiungere una quarantina di caps in nazionale, levare, cancellare una brutta storia di doping in cui fu coinvolto e in cui professò innocenza. L’aveva perdonato subito sicuramente il primo tifoso di Antonio, il figlio Miguel, classe 1986, anche lui fin da giovanissimo vestito di biancorosso Benfica. E qui intervengono gli abbagli delle Aquile e la lungimiranza del Leone. Miguel Veloso è troppo grassottello per giocare a calcio, dicono, almeno non può farlo al Benfica. Ma Miguel ha la testa dura, e come il babbo in campo non ha intenzione di mollare dopo la bocciatura subita. Si mette in riga, e bussa alla porta dei rivali cittadini. Prego si accomodi, all’Academia Sporting sbagliano di rado. Lavoro, metodo, sacrificio: ne viene fuori un centrale difensivo molto promettente che con tale Paulo Bento, appena passato dal campo – bel centrocampista- alla panchina, vince il campionato nazionale Juniores. Poi, una serie di vicissitudini del club e il licenziamento di José Peseiro promuovono proprio l’ex mediano alla guida della prima squadra. E’ il 2005, per qualche osservatore è solo una parentesi: Paulo Bento invece raddrizza la baracca e raggiunge il secondo posto che significa Champions ed è ancora lì, oggi, anche perché da subito ha fiducia nei giovani che lui stesso ha cresciuto nelle giovanili del club. Tra questi non manca certo Miguel Veloso: Peseiro l’aveva mandato a farsi le ossa nella Olivais e Moscavide, terza serie portoghese, Paulo Bento sa che può essergli utile e lo richiama all’Alvalade, conoscendo pure (sciogliete pure il nodo di qualche riga più su) le doti di Miguel davanti alla difesa, a centrocampo. L’esordio abbaglia tutti, anche perché avviene in Champions’ proprio con l’Inter che è una delle big d’Europa ( il Real Madrid sta però eccellendo nel corteggiamento) che ha già chiesto relazioni dettagliate sul giovane portoghese. Veloso va in campo con i Nerazzurri perché lo Sporting è in emergenza: Custodio e Paredes non ci sono, nasce così uno dei miglior centrocampisti difensivi d’Europa. I due calciatori citati malediranno quel giorno: il primo è finito in Russia, il secondo, ex Reggina, fa tappezzeria allo Sporting: il figlio di Antonio si è preso tutto. Bella corsa, sinistro educato, personalità, tackle incisivo Miguel Veloso eccelle nelle letture delle situazioni di gioco, seppure ancora molto giovane. Vede lontano Miguel e come tutti i Leoni portoghesi, vede bene, molto bene…
CARLO PIZZIGONI
(ha collaborato Mario Ventura)


Fonte: Guerin Sportivo

18 novembre 2007

[applausi] Ricardo Lavolpe

Se ne va Ricardo Lavolpe. Dopo quel maledetto spareggio che lo vide sconfitto contro l'Estudiantes,la non eccellente esperienza al Velez, che in questi giorni ha lasciato. Lavolpe, attaccato da buona parte della stampa argentina, per noi rimane un punto di riferimento di proposta di calcio. Anche con tutti i suoi difetti e i suoi errori. "Non ha vinto nulla", continueranno a dirci, e avranno sempre ragione loro, forse. Ma "verrà il giorno" (cit.)

Qui discetta di futbol, alla sua maniera, con Horacio Pagani, storica firma del Clarin, e storico portavoce degli antiLavolpe (vedere Youtube per conferme)


Qui sentenzia, Lavolpe style.

12 novembre 2007

[figura] Christian Pouga

Trascinati dal sodale al Guerin Alec Cordolcini, spulciatore come noi di calcio di frontiera e periferia (anche estrema), abbiamo passato il pomeriggio del sabato allo stadio comunale di Bellinzona. Match tra i padroni di casa e il Losanna, valido per il campionato di Challenge League, la serie B svizzera. Campionato che da ieri i granata ticinesi comandano. Oggetto del viaggio, il camerunense Pouga, classe 1986, fisico bestiale, tecnicamente scolastico ma non da buttare e lucido anzichenò sotto porta. Bellinzona discreto ma lento nello sviluppo della manovra, qualche cambio di gioco interessante di Andjelkovic, discreti recuperi di Da Mota ('87, controllato Samp) ma poca profondita. Pouga viene sempre incontro per aprire spazi ma c'è poca coordinazione col movimento dei compagni e il suo lavoro è poco efficace, tanto che piano piano scompare dal gioco. Il Losanna riparte abbastanza bene e termina il primo tempo in vantaggio. Secondo tempo con un centrocampo più aggressivo dei granata, anche per l'entrata di Rivera. Pouga si sblocca segnando di testa e da lì si galvanizza proponendo assist e sponde interessanti e riuscendo a finalizzare con continuità e determinazione. Segnerà altri due gol. Prospetto interessante, il giovane camerunense, possiede qualche colpo ma deve lavorare molto: è ancora troppo anticipato per il fisico che possiede, la palla giocata su di lui deve essere un approdo sicuro per tutta la squadra. Il fatto che si sia galvanizzato e abbia cercato con maggiore insisitenza e più raziocinio lo smarcamento chiama dubbi sulla sua continuità: deve essere più presente nella partita, proprio per le caratteristiche chiave che ha: la squadra che lo schiera vuole il suo fisico prima ancora dei suoi gol con i quali comunque dimostra una certa dimestichezza, che mai guasta. Il futuro della sua carriera passa da lì.Certo, la determinazione non gli manca dato che dopo un'esperienza in una scuola calcio di Douala non ha temuto l'esperienza in Cina, dove si è trasferito per poi giocare in una squadra della seconda divisione del Paese. In bocca al lupo.
Aggiungo le note di Alec: Viaggio a Bellinzona per visionare dal vivo Christian Pouga, attaccante camerunese classe 86 principale protagonista dei granata in un questo primo scorcio di stagione, e attese mantenute grazie a una tripletta che ha permesso alla squadra ticinese di archiviare la pratica Losanna (3-1 il risultato finale) e di issarsi al comando della Challenge League (la Serie B svizzera). Fisicamente prestante (193 cm x 90 kg), atletico, dinoccolato, in ombra nel primo tempo quando gira spesso a vuoto, poco assistito ma anche un po’ spaesato, protagonista nella ripresa con due reti di testa e una con un bel diagonale rasoterra dalla sinistra dopo un ottimo movimento a liberarsi in area di rigore. Da sgrezzare tatticamente, gli mancano ancora certe malizie nella protezione della palla, nella gestione degli spazi e nei tempi di inserimento, ma la materia per costruire qualcosa di buono indubbiamente c’è. Cresciuto in patria per poi emigrare nello Shangai Zobon, Pouga (11 reti in 14 partite di campionato) è alla sua seconda stagione in Svizzera dopo la doppia esperienza dello scorso anno in Super League con Zurigo e Aarau. Due parole infine sul Bellinzona; in svantaggio nel primo tempo dopo aver creato poco, la squadra si è trasformata nella ripresa con l’ingresso di Manuel Rivera Garrido, stagionato classe 78 al rientro dopo un infortunio, capace di garantire ai granata quel cambio di marcia utile a sopravanzare un Losanna ordinato ma nulla più. Nel Bellinzona anche alcune vecchie conoscenze del campionato italiano; lo stagionato Davide Belotti (ex Treviso, Vicenza, Monza, Seregno e Lecco), partita onesta sul versante destro della difesa a tre predisposta da mister Petkovic, l’ex doriano Bruno Da Mota, molto deludente e infatti sostituito dopo 45 minuti di gioco, e Corrado Grabbi, riflessi rallentati e fisicamente impresentabile. Ormai quasi un ex giocatore, un po’ come il suo vecchio compagno di squadra (ma solo per una manciata di settimane) Saliou Lassisi, al quale il Bellinzona ha rescisso il contratto per motivi comportamentali.

07 novembre 2007

[analisi] Tippeliga 2007

La top 10 della Tippeliga 2007

Competitivo, incerto, emozionante; il campionato norvegese appena concluso ha confermato la tendenza degli ultimi anni regalando un torneo intenso e ricco di spunti. Non siamo logicamente in presenza di livelli tecnici eccelsi, ma per gli amanti di un certo calcio “minore” non ancora piegato alle ferree logiche del business il divertimento non è comunque mancato. Ha vinto meritatamente il Brann, prevalendo sul sorprendente Stabaek, in seconda divisione solo due stagioni fa, sul Viking e su un parzialmente deludente Lillestrøm. Pessimo il torneo del Rosenborg, squadra non priva di talento ma talmente intermittente che sembra trovare più difficoltà a giocare contro il Fredrikstad che in Champions contro Chelsea e Valencia. I tempi del dominio assoluto che avevano trasformato la Tippeliga in uno dei tornei più a senso unico d’Europa sembrano ormai definitivamente tramontati. Di seguito una piccola classifica sui migliori giocatori del campionato appena concluso.

Somen Tchoiy (Stabaek)

Centrocampista multidimensionale da tre anni in Norvegia (prima nell’Odd Grenland, poi nello Stabaek), coniuga fisicità e buona tecnica con una grande costanza di rendimento, che gli è valsa la miglior media-voto di tutta la Tippeliga. Un Barusso meno esplosivo ma con maggior raggio d’azione e puntuale negli assist, una manna per la super-coppia d’attacco Daniel Nannskog-Veigar Pall Gunnarsson, 34 reti in due. Camerunese classe ‘83, è sbarcato in Scandinavia dall’Union Douala come esterno di centrocampo ma ha saputo dare il meglio di sé in posizioni più centrali. Difficilmente lo rivedremo in maglia nerazzurra il prossimo anno.

Marek Sapara (Rosenborg)

Sottovalutato e non di poco. Già architetto del Ruzomberok campione nazionale (più coppa e terzo turno dei preliminari di Champions) del 2006, Sapara è il mastice del centrocampo del Rosenborg, il freno all’anarchia tattica dei vari Traorè, Ya Konan e Tettey, la fonte primaria (7 gol, 14 assist) alla quale si abbevera un club che stenta ancora a ritrovare sé stesso. Punizioni velenose, cross taglienti come lame di rasoio, verticalizzazioni improvvise, il tutto condito da tanto dinamismo. Un Hamsyk con qualche anno in più; quanto ci vuole ancora per accorgersi di lui?

Alan Carlos Gomes da Costa “Alanzinho” (Stabaek)

Folletto tanto minuscolo (1.64 di altezza) quanto imprendibile, la taglia ridotta di questo classe ’83 scuola Flamengo rappresenta contestualmente il suo punto di forza e quello di debolezza. Inarrestabile palla al piede, sulla fascia sinistra riesce a creare la superiorità numerica con facilità imbarazzante ma vede meglio il compagno smarcato piuttosto che la porta. Ha evitato i carri armati della Tippeliga usando l’arma della velocità, ma in un campionato di maggior livello potrebbe non bastare.

Thorstein Helstad (Brann)

I 22 gol che gli sono valsi il titolo di capocannoniere, ma non solo; nella stagione di Helstad c’è stata tutta la rabbia e la determinazione per una carriera che forse non ha girato come avrebbe dovuto, con quell’unica parentesi extra-Norvegia (l’Austria Vienna) che poteva e doveva essere sfruttata meglio. Ma c’è stata anche la rivincita nei confronti del suo vecchio club, il Rosenborg, che lo scorso anno lo ha scaricato a stagione inoltrata. Motivo? Segnava troppo poco. Può capitare se fai giocare una punta pura come ala in un tridente. I neocampioni del Brann hanno risolto l’equivoco.

Christian Grindheim (Valerenga)

Partito con ambizioni di titolo, il Valerenga si è rivelato un clamoroso flop non andando oltre il settimo posto finale a dispetto di un rosa che annoverava diversi giocatori con esperienza internazionale (Lange, Mila, Zajic, Sørensen, successivamente Thorvaldsson). Si è salvato dal disastro questo piccolo Gattuso nordico classe ‘83, dinamite nei piedi e presenza “pesante” nel centrocampo del club di Oslo. Ultimo ad alzare bandiera bianca, la fascia di capitano assegnatagli lo scorso gennaio non poteva essere scelta più azzeccata.

Rune Jarstein (Odd Grenland)

Decidere chi tra lui e Håkon Opdal del Brann sia stato il miglior portiere della Tippeliga sarebbe un pò come scegliere se si vuol più bene al papà o alla mamma. La preferenza per il talento dell’Odd Grenland, inversamente proporzionale alla (pessima) qualità della squadra, si basa su ragioni puramente anagrafiche (23 anni contro 25). Opdal è stato eletto miglior numero uno del 2006, quest’anno quindi toccherà probabilmente a Jarstein, portiere attento, reattivo, carismatico e dai nervi d’acciaio, qualità quest’ultima indispensabile quando si è costretti a guidare una difesa scombiccherata come quella del club di Skien. Lo segue l’Arsenal.

Frode Kippe (Lillestrøm)

Giudizio senza fronzoli, come il suo stile di gioco: miglior difensore della Tippeliga. A tratti feroce (6 gialli e 3 rossi in 18 partite), ma sempre efficace, specialmente sulle palle alte. Quattro anni nel Liverpool (inframezzato da un prestito allo Stoke City), forse un livello un po’ troppo alto per lui

Per Ciljan Skjelbred (Rosenborg)

Si chiama Profdrømmen ed è la versione norvegese del (tristissimo) reality Campioni-Il Sogno. Skjelbred lo ha vinto a 15 anni guadagnandosi una settimana di stage con il Liverpool, ma poi ha rifiutato l’offerta di contratto dei Reds per firmare con il Rosenborg. Talento mediatico? Risposta negativa, perché questo classe ’87 originario di Trondheim si è fatto tutta la trafila delle nazionali minori, dall’under-16 all’under-21, fino a esordire lo scorso marzo (contro la Turchia) con la Norvegia dei “grandi”. Ala destra già in rete due anni fa in Champions League (avversario l’Olympiacos), quest’anno qualche ombra ma anche lampi di luce intensissimi, che gli sono valsi l’interessamento di Alex Ferguson, garanzia anti-bluff per eccellenza.

Kristjàn Örn Sigurdsson (Brann)

Tanti i protagonisti nella vittoria del Brann, dal già citato Helstad a capitan Andresen, dagli esterni Solli e Vagaan Moen al portiere Opdal. Una menzione particolare la merita però questo solido difensore islandese che ha dato vita, assieme al connazionale Ölafur Örn Bjarnason, a una delle coppie di centrali più affidabili di tutto il campionato. Li chiamano Ørneredet, il Nido dell’Aquila, giocando con il loro secondo nome, che sia in norvegese che in islandese significa “aquila”. In campo però niente scherzi; il muro da loro eretto si è rivelato vitale per una squadra dalle spiccate propensioni offensive quale il Brann.

Chinedu Obasi Ogbuke “Edu” (Lyn)

Solo undici partite nel Lyn 2007 prima di prendere la via della Zweite Liga tedesca, sponda TSG 1899 Hoffenheim, ma tanta qualità, con 5 gol (inclusa una bella doppietta al Rosenborg) e 3 assist. Attaccante classe ’86 veloce e tecnicamente valido, carattere un tantino focoso da sistemare, la scelta della seconda divisione tedesca può sembrare un declassamento. L’Hoffenheim però è ambizioso e pieno di grana. L’opposto del Lyn.

ALEC CORDOLCINI

31 ottobre 2007

[analisi] Portsmouth "africano"

Possiede un’anima africana il Portsmouth. Sono tanti infatti i giocatori provenienti dal Sud Sahara scovati e voluti da Harry Redknapp per impreziosire la sua squadra. Giocatori tutti di ottimo valore, sottostimati, anche per l’origine. In primis, John Utaka: si fa fatica a rintracciare il motivo per cui questo attaccante esterno sia giunto così tardi a palcoscenici importanti come quelli della Premier. Corsa e qualità, ha sempre visto la porta Utaka, fin dai tempi dei non nobilissimi campi dell’Ismaily, squadra comunque con un certo seguito in Egitto e con tifosi ancora molto legati al nigeriano, a giudicare dalla calorosa accoglienza che gli hanno riservato nell’ultima Coppa d’Africa, l’anno scorso (siamo stati testimoni, a fine allenamento un gruppuscolo andava regolarmente dritto da lui, sempre disponibile). Passaggio ancora più misterioso in Qatar, quindi approdo in Francia con Lens e Rennes, e qui un minimo di visibilità grazie a una tripletta al Lione, non esattamente un’abitudine nell’Esagono. A Rennes, Redknapp ha messo sotto contratto pure Arnold Mvuemba, che è di nascita e passaporto francese ma ha origini congolesi. Centrocampista dal talento cristallino, ha pagato l’eccessiva indolenza con il tecnico e manager Pierre Dréossi in Bretagna, ma se si trovano i giusti pungoli Mvuemba, classe 1985, è capace di far girare la testa a tanti. Con Sulley Muntari bisogna invece scoprire dove nasconde i freni. Sinistro e talento hors categorie a centrocampo è un principe anche per corsa e visione di gioco, peccato l’eccessiva irruenza che proprio non è ancora riuscito a contenere, a 23 anni però in pochi si possono permettere le sue giocate: l’ennesima grande pescata dell’Udinese di Pozzo, che lo scovò in Ghana anticipando come d’abitudine i grossi club, United in testa. I lanci dell’ex promessa del Friuli trovano spesso Benjani Mwaruwari, veloce attaccante nato in Zimbabwe da genitori originari del Malawi. Lo nota giovanissimo Jomo Somo, leggenda calcistica di Soweto, capitale della rivoluzione anti-apartheid e città natale di Nelson Mandela e del vescovo Desmond Tutu, e lo porta nella sua squadra, i Cosmos. Il Grasshopper, all’epoca ancora ambizioso, lo invita in Svizzera e in una amichevole lo nota Guy Roux, che ad Auxerre conta molto più dell’Abbazia di San Germano (eretta attorno all’800: un gioiello), e lo inserisce nella sua équipe che in qualche modo ricorda questo Portsmouth per l’elevata presenza di africani, vera manna per il gioco in campo aperto del santone alsaziano. Benjani ne approfitta per mettersi in mostra, poi l’Inghilterra, in cui ritrova i guizzi della prima parte del soggiorno borgognone. A Fratton Park ha ricominciato a brillare anche Nwankwo Kanu, ex Ajax, Inter e Arsenal e vincitore, da capitano, dell’oro olimpico con la Nigeria ad Atlanta ’96, che rimane il primo importante trofeo intercontinentale di una nazionale africana. Il bis lo fece il Camerun quattro anni dopo, e in campo c’era un altro pompey di oggi, Lauren, pescato nel lontano 1995 dal Siviglia in Africa, lui che è originario della Guinea Equatoriale, da dove i genitori sono scappati per sfuggire alle persecuzioni (con Spagna consenziente) di Francisco Nguema, dittatore mai abbastanza vilipeso come la sua storia criminale meriterebbe. Completano la colonia africana del Portsmouth due senegalesi:uno di passaporto, Papa Bouba Diop, l’altro di origine(è nato in Francia), Djimi Traoré, quest’ultimo tra i protagonisti col suo Liverpool della Prima Notte di Istanbul e, a suo dire, unico testimone dei bagordi milanisti tra primo e secondo tempo.

CARLO PIZZIGONI

fonte: Mister Football - inserto del Guerin Sportivo

22 ottobre 2007

[analisi] Sporting Lisbona

Sempre più in alto. Lo Sporting dopo aver raggiunto la Champions e aver fatto una buona figura l’anno scorso con una squadra zeppa di giovani di talento, ci riprova. Al timone, sempre Paulo Bento, in campo non più Nani, che dei giovani biancoverdi era il più talentuoso, cosa che ha convinto Carlos Queiroz, regista dell’operazione, e sir Alex Ferguson a portare a Manchester, a qualsiasi costo e già da quest’anno, il giovane nato a Praia, nell’arcipelago di Capo Verde. L’anima leonina non è però espatriata: rimangono due straordinari prodotti dell’inesauribile e qualitativamente inarrivabile settore giovanile dello Sporting, il giovane capitano João Moutinho e Miguel Veloso, ex centrale difensivo trasformatosi brillantemente in un centrocampista di copertura e eletto l’anno passato miglior giovane di tutta la SuperLiga. Nonostante le finanze del club si siano sistemate con la cessione di Nani (25 milioni di euro), la politica dello Sporting non cambia: si investe sui giovani (ultimo arrivato, il talento brasiliano Celsinho) e, al limite, si puntella con qualche veterano: bella la pescata dell’attaccante Derlei, ex Porto, che può dare una mano al bomber Liedson. Giovani, e con parecchio talento, ecco Simon Vukčević (nato nel 1986), montenegrino, giovanili Partizan, passaggio milionario al Saturn, classe superiore ma troppi alti e bassi: si spera nella definitiva maturazione. Che attende pure, sperano all’Alvalade, Marat Izmailov, arrivato in prestito dal Lokomotiv Mosca. Da questi giocatori, oltre dall’argentino Leandro Romagnoli(altro “incompiuto”), Paulo Bento si aspetta quelle accelerazioni all’interno del suo gioco compassato, che possiede ancora le caratteristiche della scuola portoghese: palla che viaggia a terra, tanti appoggi, manovra che si sviluppa su linee orizzontali, controllo dello spazio per evitare anche di andare sotto fisicamente: in mezzo al campo c’è dinamismo ma pochi “chili”. Un calcio che l’anno scorso ha pagato solo in parte e che quest’anno si spera possa essere più redditizio e possa trovare qualche gol in più in fase di transizione. Il problema del gol pare ancora l’enigma irrisolto dei biancoverdi (specie fuoricasa, quando non riescono a imporre gioco), nonostante l’ex Flamengo Liedson, da quando è in Portogallo, assicuri un media realizzativa di una rete ogni due partite. La difesa, sempre schierata a 4 in linea, quest’anno vedrà Stojković (non convocato per la gara con la Roma) tra i pali e non più il leggendario Ricardo, finito in Spagna.

CARLO PIZZIGONI

fonte: Guerin Sportivo

[recap] Werder Brema - Herta Berlino 3-2



Credo sia difficile trovare in tutta Europa una squadra così dipendente da un solo giocatore. Diego al Werder rimane l'unico sbocco offensivo credibile, indefesso, si propone sempre e quasi sempre partendo da fermo riesce a trovare giocate importanti per i compagni. Sostenere che la manovra del Werder sia Diego-dipendente mi pare addirittura troppo poco: tutto viene fatto in funzione dei suoi ovimenti. E, intendiamoci, è il modo migliore per sfruttare un talento così straripante. L'Herta attende, ma è una squadra bene organizzata: riparte in maniera ordinata e ha criteri di spaziatura adeguati. Manca di sbocchi importanti davanti: male Pantelic, che Favre vuole far partire da sinistra, grande movimento e generosità di Grhan, ma non è esattamente un cecchino. Enorme ma vergognosamente discontinuo il talento di Ebert, un '87 da seguire con attenzione e un piacere per gli occhi per eleganza e pulizia palla al piede: lui inventa il gol del momentaneo pareggio dell'Herta con una scucchiaiata per Gilberto, che nel primo tempo aveva fallito un gol già fatto (solo davanti al portiere) dopo il solito contropiede controllato dagli uomini di Favre. Un errore, il primo importante, nel secondo tempo: mancanza di equilibrio, lascia al Werder un contropiede genialmente lanciato da Diego (ma dai...) che si conclude con il gol di Hugo Almeida: male Drobny, come male nel secondo gol del Werder, segnato da Rosenberg, appena subentrato a Sanogo, unica alternativa a Diego nel creare spazio nella difesa ben disposta dell'Herta, che forse potrebbe organizzare qualche blitz di pressione in più dei due mediani, l'ungherese Dardai e Simunic : pesante l'assenza di Mineiro (rientrato dagli impegni in Nazionale) che entra solo all'85 e fa in tempo ad alimentare qualche speranza grazie al gol del giovane nigeriano Okoronkwo nel recupero.



Werder Bremen - Hertha BSC Berlin 3:2 (0:0)

Marcatori : 1:0 Hugo Almeida (57.), 1:1 Gilberto (61.), 2:1 Rosenberg (62.), 3:1 Andreasen (74.), 3:2 Okoronkwo (90.+3)
Bremen: Wiese - Fritz, Mertesacker, Naldo, Pasanen - Frings (82. Baumann) - Borowski (68. Andreasen), Jensen - Diego - Sanogo (59. Rosenberg), Hugo Almeida. - Trainer: Schaaf
Berlin: Drobny - Chahed, Friedrich, von Bergen, Fathi - Ebert, Dardai (74. Piszczek), Simunic (85. Mineiro), Gilberto - Grahn - Pantelic (59. Okoronkwo). - Trainer: Favre

Weserstadion, Brema - 20 ottobre 2007

17 ottobre 2007

[analisi] USA

C’è sempre un mistero dietro il movimento calcistico statunitense, la cui nazionale giocherà stasera un’amichevole contro la Svizzera a Basilea. Funziona o non funziona? La consacrazione del calcio Usa, ciclicamente annunciata e prontamente smentita dai fatti fin dai tempi dei Cosmos anni Ottanta con Pelé, Beckenbauer e Chinaglia, è stavolta in dirittura d’arrivo? Che c’è dietro l’ingaggio di David Beckham da parte dei Los Angeles Galaxy?Cominciamo dalla fine: l’ingaggio dello Spice Boy da parte della squadra californiana (si parla di 275 milioni di euro per 5 anni) non ha sportivamente nessun senso: non farà certamente da traino al lancio della Major League Soccer che, appena nata, fa già fatica a decollare. Detta tutta: la prospettiva di sopravvivere esclusivamente come Lega Minore rispetto alle storiche NBA, NFL e MLB è molto concreta. In primis, perché non riesce a ottenere un contratto televisivo dignitoso, e senza questo negli Usa non si può sopravvivere. Poi, sono poche le grandi città coinvolte: che mercato può avere, ad esempio, Columbus? E anche in metropoli come New York o Chicago, tra le poche coinvolte nel progetto MLS, non c’è da stare allegri. Federico Buffa, giornalista insostituibile quando si parla di sport e cultura americana, ci ha raccontato recentemente questo aneddoto: “La squadra dei Red Bulls, ex Metrostars, per coinvolgere gli abitanti di New York ha organizzato in Central Park una giornata a base di calcio. Hanno portato porte, palloni, gadgets: tutto. Di lì a poco è arrivata la polizia: fuori di qui, nel parco è vietato usare il pallone. Abbiamo i permessi, guardi! A casa, su.” Come considerazione, un po’ poca, eh… Tutto da buttare, allora? Nemmeno per sogno. I praticanti sono tantissimi, e nelle università sono previste molte borse di studio sportive anche per il calcio. Inoltre, i risultati della Nazionale maggiore sono tutt’altro che da buttare, a cominciare dalla recente vittoria nella Gold Cup, il campionato continentale del NordAmerica - in finale sul Messico- , e senza dimenticare la buona figura della selezione under 20 nel Campionato Mondiale di categoria svoltosi in Canada a luglio. Bob Bradley, tecnico degli USA, ha scelto questa tournèe europea per cominciare a cooptare i giovanotti migliori. Tournèe mozzata dalla decisione della federazione spagnola che ha vietato l’amichevole con la rappresentativa della Catalogna. Chi ci sarà, allora, in Svizzera? Purtroppo non Landon Donovan, miglior giocatore della MLS, né Jozy Altidore, uno dei migliori prospetti del soccer Usa, impegnati in partite chiave per raggiungere i playoffs MLS. Forfait anche per il portiere Tim Howard (Everton), infortunato. Quindi? Nel probabile 442 di Bradley linea difensiva di ottimo livello con Cherundolo (Hannover), Onyewu (Standard Liegi), Bocanegra (Fulham) e Pearce (Hansa Rostock), davanti al portiere Hahnemann (Reading), anche se potrebbe esserci un tempo di gioco per Chris Seitz (Real Salt Lake) che bene impressionò nei primi match dei mondiali giovanili. Mondiali dove ha brillato Michael Bradley (gioca nell’Heerenveen, in Olanda) titolare ora della nazionale maggiore, in cui potrebbe esserci dall’inizio anche Sal Zizzo, esterno destro di origine italiana acquistato dall’Hannover dopo le buon prestazioni in Canada. Danny Szetela, compagno di linea di Bradley nella rassegna giovanile, messo sotto contratto dal Racing Santander, dovrebbe giocare il secondo tempo, forse in sostituzione di Benny Feilhaber del Derby County, favorito per un posto negli 11. Discorso a parte per Freddy Adu (potrebbe anche essere tra i titolari a Basilea), classe ’89, protagonista in Canada, giocatore vero, che sta un po’ subendo il bailamme scoppiato in seno al Benfica dopo il benservito al tecnico Fernando Santos, suo primo sponsor nelle Aquile portoghesi. Davanti, la coppia iniziale potrebbe essere formata da Clint Dempsey (Fulham)e DaMarcus Beasley (Rangers Glasgow, convalescente da un infortunio). Il sogno rimane ancora quello di schierare Giuseppe Rossi del Villareal (Ex United e Parma), nato nel New Jersey da genitori italiani e per ora schierato solo nelle nazionali minori del Belpaese. Un colpo probabilmente impossibile, ma che varrebbe ben più dell’ingaggio di un Beckham, per il calcio americano.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Corriere del Ticino

[recap] Romania - Olanda 1-0



Era uno dei match più importanti della tornata di qualificazioni europee che si è svolta sabato. Attese rispettate, anche se la serata era da lupi: freddo, acqua, fango e vento fastidioso. Buona, buonissima Olanda. Controllo de gioco dal primo minuto. Palla che gira, tre centrocampisti, De Zeeuw e Seedorf decisivi per la manovra, Van Bronckhorst un po' di intralcio ma utile in interdizione e per equilibrio. Tre punte con Van Nistelrooy centrale e Van der Vaart e Robben ai lati. Inizialmente, nonostante la fluidità della manovra, l'Olanda fa fatica a trovare sbocchi perché la Romania sceglie di fare densità a metacampo e appena può verticalizza su Mutu e confida nei suoi uno contro uno. Ho visto giocare la Romania in maniera più propositiva, evidentemente Piturca pensa sia questa la strategia necessaria per frenare la corazzata Orange, squadra davvero dal potenziale enorme. Difesa a quattro dei rumeni e centrocampo disposto a rombo ma piuttosto schiacciato, Chivu sul centrosinistra, è la prima volta che lo vedo giocare davanti alla difesa, anche se in posizione decentrata: non si disimpegna male, anche se è evidente che gioca poco tranquillo per la spalla: buone comunque le sue imbeccate per Rat sulla sinistra, appena c'è la volontà di rilanciare l'azione, quindi soprattutto a partire dal secondo tempo. L'Olanda riesce a solleticare Bolont nel quarto d'ora finale del primo tempo, ma non modifica il tabellone, al massimo vibra la traversa rumena, merito di Bouma di testa.
Secondo tempo più propositivo della Romania, Codrea accompagna di più gli attaccanti (Mutu come al solito difficilmente contenibile) e buona è la spinta dei terzini. Arriva il gol, di Goian, bravo in una mischia in area e autore di una partita perfetta dietro, in coppia con Tamas. Van Basten prova anche Babel, Lobont è bravo su Van Nisterlooy, gli Orange hanno altre occasioni, si fanno irretire il giusto da simulazioni e perdite di tempo dei gialli e nel finale sfiorano il pareggio meritato al 92' con un clamoroso pallo, in mischia, sempre di Bouma, stavolta di sinistro.

Marcatore: 71' Goian

Romania Lobont,Ogararu, Goian, Tamas, Rat, Nicolita, Codrea, Chivu, Petre, Marica (Niculae 70), Mutu.
Olanda Stekelenburg, Heitinga (Jaliens 68), Ooijer (Koevermans 84), Mathijsen, Bouma, De Zeeuw, Seedorf ,Van Bronckhorst, Van der Vaart, van Nistelrooy, Robben (Babel 78).

15.000 spettatori (esaurito)
Stadio Farul, Costanza - 13 ottobre 2007


CARLO PIZZIGONI

16 ottobre 2007

[recap] Svizzera - Austria 3-1



Curiosi di osservare a che punto stanno le due squadre che rappresentano i Paesi organizzatori dei prossimi Europei siamo andati, grazie alla gentilezza dei colleghi ticinesi, a Zurigo a vedere Svizzera-Austria. Non benissimo. I rossocrociati sono solidi, ma sarebbe necessario testarli con attacchi un po' più vari e, a pelle, non mi sembra lascino trasparire eccessiva fiducia. Centrocampo di recuperatori di palla (quanto manca Kuzmanovic, svizzero nato a Berna che ha scelto la nazionalità serba), i centrali difensivi non possono iniziare l'azione, anzi a dirla tutta Djourou ha dato più palle in profondità di Inler e Gelson, però il difensore di origine ivoriana non ha ancora la personalità per iniziare da dietro il gioco. La Svizzera si accende solo grazie a Barnetta (migliore in campo), piazzato a sinistra dove anche secondo noi è più inicisivo: paradigmtica la giocata del secondo gol quando parte da metacampo si beve una serie di austriaci in fascia e porge di sinistro in mezzo un assist col fiocco a Hakan Yakin. Strepitoso. Streller punta unica gioca spesso spalle alla porta e, senza esagerare, piazza una partita di sostanza (con due gol),ma l'élite è lontana. Buona la spinta sulle fasce dei terzini, come d'abitudine, necessiterebbe però di continuità questa fase del gioco che invece pare spesso estemporanea, non frutto di un lavoro d'assieme. Bene Yakin che spesso si incarica di iniziare l'azione, ma anche qui poca continuità: a difesa schierata sono evidenti i limiti della manovra della squadra di Kuhn. Male l'Austria: dopo due minuti è già sotto per un errore della linea difensiva che regala il gol agli svizzeri, mostra per una mezz'ora buona volontà, ma combina poco davanti: centrocampo fondato su Aufhauser e Saryar che potrebbe dare di più, Ivanschitz prova a inventare ma l'intesa con Kuljic, ancora indietro di condizione, non è delle migliori. Dietro il solo a salvarsi è l'under 20 Proedl, bene anche nella rassegna mondiale canadese di quest'estate, male Hiden. La fascia destra è nettamente più attiva di quella opposta ma le azioni di Standfest e Garics non prevedono sovrapposizioni ma solo uno contro uno, con risultati non sempre accetabili. Hickersberger deve lavorare, anche se forse una scossa prima degli europei non sarebbe male: Herzog è vice allenatore della squadra...


Marcatori: 2. Streller 1:0. 11. Aufhauser 1:1. 36. Yakin 2:1. 55. Streller 3:1.

Svizzera: Coltorti; Lichtsteiner, Djourou, Senderos (46. Grichting), Magnin (86. Spycher); Fernandes (82. Celestini), Inler; Vonlanthen (18. David Degen), Yakin (46. Margairaz), Barnetta; Streller (77. Nkufo).

Austria: Manninger; Standfest (65. Ertl), Prödl (40. Schiemer), Hiden, Fuchs; Sariyar; Garics, Aufhauser, Ivanschitz (83. Harnik), Weissenberger (65. Mörz); Kuljic (65. Kienast).

22.500 spettatori

Stadio Letzigrund, Zurigo - 13 ottobre 2007

CARLO PIZZIGONI

30 settembre 2007

[analisi] Mondiali under 17


Fantastica giocata di Kabiru Akinsola durante i supplementari della finale Spagna-Nigeria


Il ritorno dell’Africa. Sotto le continue piogge dei cieli coreani la Nigeria vince per la terza volta il Mondiale under 17 e, di concerto con l’ottima semifinalista Ghana, ridona prestigio e credibilità al Continente Nero. La solita querelle sul calcio del futuro stavolta merita un approfondimento più circostanziato. La squadra di Yemi Tella “allarga” il campo. La palla viaggia molto in aria perché la capacità di calcio di quasi tutti gli elementi della squadra nigeriana è notevole, così come il fisico che permette continui scatti e accompagnamenti numericamente importanti dell’azione. Ma la variabile decisiva è un’altra. I nigeriani sono nettamente migliorati rispetto agli ultimi anni sotto l’aspetto tecnico: molti i giocatori da segnalare per il bel controllo di palla, la familiarità con essa in più situazioni e per la precisione dei lanci. La Nigeria, rispetto alle altra potenze calcistiche del Golfo di Guinea, culla del football africano, ha sempre avuto gap deficitari rispetto al Ghana o alla Costa d’Avorio, storicamente meglio preparati sotto il profilo dei fondamentali. Soprattutto la Costa d’Avorio negli ultimi anni ha conosciuto, grazie alla “rivoluzione” dell’Academie voluta diversi lustri fa da Jean Marc Guillou e da Roger Ouégnin, presidente dell’Asec di Abidjan, un incredibile sviluppo tecnico. A maggiore ragione, in un Paese sconfinato e con un numero di praticanti elevatissimo come la Nigeria, questo percorso potrebbe rappresentare una chiave di volta decisiva. Sarà questo fattore, e non la tanto invocata preparazione tattica, la nuova frontiera dell’Africa calcistica? Il 442 (o 4411) nigeriano è senza fronzoli, ma sviluppato con i valori fisici e tecnici di cui si parlava, diventa difficilmente arginabile: infatti, pur vincendo solo ai rigori e non offrendo il meglio di sé nella finale, gli aquilotti nigeriani hanno dominato il torneo con sei-vittorie-sei dal primo turno alle semifinali. Quando subisce il possesso di palla altrui, come è stato nella semifinale con la Germania, rischia di perdere in concentrazione e di indolenzirsi, abbassando eccessivamente le prime due linee, ma le ripartenze sono micidiali, e il raggio di tiro di tanti elementi supera comodamente i venticinque metri. Là davanti è stato molto celebrato, a ragione, Macauley Chrisantus, centravanti capocannoniere del torneo (7 gol in 7 partite), attaccante longilineo e con buone intuizioni, ma la squadra presenta più di un elemento interessante. Il capitano Lukman Haruna, il tecnico rifinitore Rabiu Ibrahim, un grande cursore di centrocampo come Ganyu Oseni, attivissimo sottoporta, la forza fisica di Yakubu Alfa, la spinta sulla fascia di Mustapha Ibrahim, la grande pulizia del difensore centrale Kingsley Udoh, e gli inserimenti spesso decisivi di Kabiru Akinsola e Ademola Rafeal. Da aggiungere la grande prestazione, specie nella finale dove ha ipnotizzato tutti i tiratori spagnoli, del portiere Oladele Ajiboye. Del Ghana si è detto, ma l’Europa che conta ha fatto il suo. Spagna, Germania, Francia e Inghilterra hanno tutte proposto squadre altamente competitive. Se dagli spagnoli ci si aspettava molto, pure se a livello di prestazione mai ha del tutto convinto (ha giocato la finale senza la stella Bojan, espulso in semi), la sorpresa è arrivata dalla Germania. I tedeschi hanno prodotto un calcio fatto di possesso palla, di grande qualità tecnica e hanno forse difettato di “punch” in mezzo al campo. Ottima davvero la Francia, uscita rocambolescamente dal torneo dopo una partita sostanzialmente dominata nei quarti con la Spagna. Bene anche l’Inghilterra.
Disastro, ormai l’ennesimo, per il Brasile. Dopo aver fatto una magra figura in patria nei Giochi Panamericani (ma lì c’era la gabola: altre squadre han schierato, legittimamente, una formazione under 20 contro i diciassettenni brasiliani), i giovani di Luiz Nizzo si sono ripetuti qui contro i pari età: partiti con due vittorie tonitruanti con Nuova Zelanda (7-0) e Corea del Nord (6-1) hanno balbettato calcio fino a uscire contro il Ghana negli ottavi, peggiore prestazione di sempre in un mondiale under 17. Male Lulinha, sempre a caccia della giocata ad effetto, e quasi mai con la necessaria concentrazione. L’Argentina non aveva grandi pretese da questo gruppo di ragazzi, uscito comunque con onore contro la Nigeria ai quarti. In crescita le altre due formazioni sudamericane, Colombia, soprattutto, e Perù. Desolante, ma ormai è un’abitudine, la prestazione delle asiatiche: quella che più ha convinto è stata la Siria, uscita dopo una partita gagliarda contro l’Inghilterra. Bene, in relazione alle possibilità, anche il Tagikistan, mancano però le nazioni guida: la Corea padrona di casa ha fatto peggio dei cugini del Nord vincendo una sola partita (contro il Togo) e abbandonando dopo la fase a gironi il torneo, esattamente come il Giappone. Tra due anni l’organizzatore della competizione sarà proprio il paese campione, la Nigeria.

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Al fianco degli ottimi nigeriani, molti sono stati i giovani interessanti, i cui nomi hanno fatto capolino sui bloc notes degli osservatori. La Spagna, da tanti considerata la favorita, in finale si è arresa solo ai rigori, e molto del suo percorso lo deve alla qualità dei singoli. Di Bojan si sa già tutto, dato che è oramai pronto per l’empireo Barça dopo aver segnato senza posa in tutte le formazioni giovanili blau-grana, Fran Merida è l’altro predestinato: centrocampista offensivo con classe da vendere a cui manca ancora la continuità, i colpi ci sono tutti e Wenger, come ha fatto con Cesc Fabregas, ha pensato bene di operare un altro “furto” alla florida cantera del Barcellona, portandoselo all’Arsenal. Dietro, bene il “Kaiser” Rochela, centrale molto interessante, e sicuro il portiere dell’Atletico Madrid, De Gea. Nella semifinale con i Ghanesi l’hanno vista però poco: tra gli africani, segnaliamo il “mini” cannoniere Ransford Osei (elogi pubblici da Claude Le Roy, tecnico della nazionale “senior” delle Black Stars), il compagno di reparto Sadick Adams e il centrocampista Enoch Adu. Al fianco del miglior giocatore del torneo, Toni Kroos (vedi box), ottimo il centravanti Sukuta Paso, agile e potente, bravo anche schiena alla porta. Mettesse su qualche chilo (oggi supera a fatica i 50…) sarebbe da seguire la carriera di Sascha Bigalke, centrocampista tecnico dei teutonici. Nell’Inghilterra, che forse meritava un po’ di più, molta autorità del centrocampista centrale Henri Lansbury e segnalazione per Rhys Murphy, entrambi dell’Arsenal. Livello medio alto anche tra i francesi: scegliamo l’ala destra Henri Saivet, classe ed eleganza. Nel Brasile si salvano in pochi, citiamo il vascaino Alex, mezzapunta, dribblomane di qualità.

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Non che mancassero le alternative, eh. Però la scelta di premiare il tedesco Toni Kroos come miglior giocatore del Mondiale ha messo d’accordo tanti. Grande tecnica, sublime visione, ha giocato dietro la punta evoluendo a destra e a sinistra dell’attacco e favorendo con le sue rasoiate in profondità gli inserimenti dei compagni, grazie anche alla dimestichezza con entrambi i piedi (4 assist vincenti in tutto il torneo). Bravo a difendere la palla, sa riconoscere il momento esatto dell’assist, e poi vede la porta: 5 gol all’attivo nella competizione. Nuovo Riquelme? Mmmh, ci sta…Nato nel ’90 a Greifswald, dove solo sulla carta non era più Germania Est, Kroos esplode calcisticamente nelle giovanili dell’Hansa Rostock e viene prelevato dal Bayern che anticipa anche offerte straniere. Uli Hoeness, GM dei bavaresi, l’ha voluto già quest’anno nella rosa della prima squadra.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Guerin Sportivo

24 settembre 2007

[reportage] Società in prestito

Dici che non bastano Fernando Belluschi e Gonzalo Higuain a metterti dietro tutta la serie B svizzera? Perché? Eh, perché il Locarno Football Club, squadra ticinese che naviga appena sopra la media classifica nel campionato elvetico di Challenge League, possiede (meglio possedeva, Higuain è finito al Real Madrid) tra le sue fila i due ex giocatori argentini del River Plate, oltre a una piccola pattuglia di “primavera”, sempre ex Millionarios. Al Locarno? Mai visti. E Rivas, Nelson Rivas, quest’anno giunto all’Inter, il difensore colombiano che chiamano Tyson, nemmeno si è visto in Canton Ticino? Eppure le carte federali parlano chiaro: l’Inter ha prelevato il giocatore dal Locarno… No, guarda, tra i biancoblù c’è un pezzo, diciamo così, di Inter: è il fratello di Mariano Gonzalez (ricacciato da Branca a Palermo e ora finito in prestito al Porto), Pablo, ma non pare proprio un fenomeno. Surreale. Un dialogo surreale che contiene tante verità, che verità non sembrano o non devono sembrare. Il Locarno ha sì avuto la proprietà di giocatori provenienti dall’Argentina ma, ovviamente, mai sono arrivati in Svizzera. Un articolo di Juan Pablo Varsky, insigne firma di La Nacion, ha scoperchiato verità mai chiaramente affermate. Ma la primogenitura dell’indagine spetta a Alejandro Casar Gonzalez, altro giornalista argentino, che si era occupato del caso alcuni mesi prima. Tutto nasce da alcune ricerche su Pini Zahavi, potentissimo procuratore, che insieme a un altro collaboratore molto noto anche in Italia, Fernando Hidalgo (agente dei maggiori calciatori argentini), fonda la HAZ Sport Agency: “Sono le iniziali dei cognomi – ci suggerisce Casar, da noi contattato -, il terzo del gruppo è Gustavo Arribas, ex collaboratore di Mauricio Macri, oggi presidente del Boca. La società che ha gestito i trasferimenti è la filiale argentina della HAZ, impresa fondata nelle Isole Vergini. La prima volta che se ne sente parlare è durante il trasferimento di Carlos Tevez dal Boca al Corinthians, trasferimento finanziato dal fondo MSI, già legato a Zahavi.” Le inchieste giornalistiche fanno parecchio rumore. “Tanto rumore per nulla” incalza però il presidente del Locarno, Stefano Gilardi, che tiene a sottolineare come tutte le operazioni siano condotte nel massimo della trasparenza e legalità. Durante una conferenza stampa indetta negli ultimi giorni di agosto lo stesso Gilardi ci ha tenuto a chiarire tutto:”Grazie ai contatti stabiliti in tutti questi anni a livello nazionale e internazionale un gruppo di investitori si è rivolto a noi, chiedendoci se eravamo disposti ad esplicare un’attività di intermediazione calcistica per i trasferimenti di giocatori. Secondo i regolamenti della FIFA – prosegue il presidente ticinese - un giocatore di un Club affiliato può essere ceduto ad un altro se è stato rilasciato il certificato internazionale di trasferimento. Questi diritti federativi valgono solo tra club di football che sono sottoposti alla giustizia sportiva. Alla stessa non può ricorrere un investitore, individualmente o in società, che ha rapporto con il calciatore trasferito. Aggiungo che Higuain non c’entra nulla e che da noi non è transitato.” E il Locarno che ci guadagna, scusi? “Sulla base di questi rapporti di fiducia un gruppo di investitori a partire dalla stagione 2006 finanzia in via anticipata l’attività calcistica della Prima Squadra con un importo forfetario di 600.000 franchi svizzeri all’anno versato ad inizio stagione ai quali si aggiungono 30.000 franchi per il Settore Giovanile. Abbiamo così potuto mantenere la squadra nella Challenge League e dare l’opportunità ai giovani locali e ai giocatori di scuola ticinese di affacciarsi al palcoscenico della Lega Nazionale.” Insomma, una società in prestito. Più o meno. Alcuni procuratori, non potendo disporre di una società a piacimento per i loro legittimi affari, ne affittano una, dove fanno transitare i giocatori che poi rivendono a club prestigiosi. Inutile dire chi ci guadagna in tutto ciò. Una pratica, quella della gestione-affitto di società, piuttosto diffusa nel Canton Ticino, dato che il Bellinzona (famosi i casi Matuzalem, Russotto e De Martino, “transitati” dai castelli dell’Unesco) ha un rapporto fiduciario con la Promosport. Esiste poi il caso di acquisto diretto di società: Giambattista Pastorello, vicepresidente del Genoa ed ex patron dell’Hellas Verona, ha comprato il Lugano. Naturale che ognuna di queste partnerships possa svilupparsi secondo cavilli differenti: resta, quantomeno, la stranezza. La Fifa ha voluto vederci chiaro, tanto più che la società che governa il calcio mondiale ha sede proprio in Svizzera. Indagherà. Intanto in Argentina, il River Plate, la società argentina in grave crisi finanziaria, da dove provengono i cinque calciatori “passati” al Locarno è ultimamente sotto torchio da parte della magistratura. Sì, perché ci sarebbe la questione della provenienza dei fondi per l’acquisto dei giocatori: “ Abbiamo controllato tutto, ci dice Giraldi, la provenienza è perfettamente lecita.” La contiguità Zahavi – Berezovskij (miliardario russo e oppositore di Putin) è solo chiacchierata, la vicinanza con Abramovich, certa. Sui capitali russi c’è un’ampia letteratura, ma questa è un’altra storia, più grande del Locarno, del Ticino, della Fifa e forse del calcio. Forse.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Guerin Sportivo

23 settembre 2007

[reading] Pär Lagerkvist

E' profondamento bello il romanzo "Barabba" di Lagerkvist.
Così il poeta svedese racconta la morte del protagonista. Capolavoro.

(...) Barabba rimase un'altra volta solo. Rimase solo per tutti i giorni che trascorsero nel carcere. Appartato e disgiunto dagli altri. Li udì cantare i loro inni traboccanti di fede e discorrere pieni di fiducia della loro morte e della vita eterna che li attendeva. Soprattutto, dopo che fu pronunciata la sentenza, parlarono molto di questo. Erano sempre fiduciosi, non vi era in loro ombra di dubbio. Barabba ascoltava, ma immerso nei suoi pensieri. Anche lui meditava su quello che lo attendeva. Si ricordava dell'uomo del Monte Uliveto, quello che aveva diviso con lui il pane e il sale, e che era morto da un pezzo. E che sogghignava dal suo teschio, nella tenebra eterna.
Furono fatti uscire e condotti alla crocifissione. Erano incatenati a due a due ma, poiché non erano in numero pari, toccò a Barabba l'ultimo posto della fila e non fu incatenato con altri. Fu così, per un caso. E fu pure appeso, da solo, fuori della fila delle croci. C'era molta gente, e ci volle parecchio tempo prima che tutto fosse terminato. Ma gli uomini crocifissi parlavano continuamente fra loro, pieni di fiducia e di speranza. Con Barabba non parlava nessuno.
Al calar della sera, gli spettatori, stanchi di attendere, già se n'erano andati. E d'altra parte tutti, là, erano morti. Barabba soltanto era ancora confitto, ed era vivo. Quando sentì appressarsi la morte, della quale aveva sempre avuto tanta paura, disse nell'oscurità, come se parlasse con essa "A te raccomando l'anima mia", ed esalò lo spirito.

Pär Lagerkvist "Barabba", Jaca Book, 1998

21 settembre 2007

[analisi] Olandesi in Coppa Uefa

Dopo l’importantissima, ancorché sofferta, vittoria in Champions League del Psv Eindhoven sul CSKA Mosca, in un girone che si prospetta tra i più equilibrati dell’intero torneo (qualcuno crede ancora alla favola dell’Inter grande squadra in Europa?), la settimana europea delle squadre olandesi era tutta focalizzata sulla coppa Uefa. Analizziamo brevemente incontri e prospettive dei cinque club oranje impegnati nella competizione.

Ajax. Solito pallido Ajax europeo, che nella prima ora di gioco raccoglie solo un tiro da 25 metri di Huntelaar finito fuori. Ten Cate tenta la carta del 4-4-2 ma la musica non cambia, perché il centrocampo Gabri-Maduro-Ogararu-Emanuelson garantisce corsa ma è povero di idee, del resto un nuovo Sneijder non lo si trova dall’oggi al domani. Ci pensa quindi Stekelenburg a tenere in piedi la baracca, salvando la squadra in almeno tre occasioni. La combinazione Huntelaar-Rommedahl che manda il danese in rete taglia le gambe a una Dinamo Zagabria intraprendente (bene Modric e Balaban) e per la quale il gol sembrava ormai nell’aria. A quel punto per l’Ajax è sufficiente controllare, magari ringraziando Sokota per aver sciupato con un tiro fiacco la palla del possibile pareggio. Luis Suarez viene mandato in campo solo nei minuti finali; probabilmente Ten Cate avrà voluto risparmiarlo in previsione del big match di domenica contro l’Az. Se così non fosse, saremmo nel masochismo più puro.

Az Alkmaar. Cinismo da grande squadra, direbbero molti. Preferiamo invece chiamare le cose con il loro giusto nome, ovvero fortuna. La vittoria in trasferta (1-0) sul campo del Pacos Ferreira è grasso che cola per la squadra olandese, che dopo un avvio lampo con un paio di buone occasioni nei primi minuti per Dembele è stata schiacciata per tutto l’incontro dagli arrembanti portoghesi, alla loro prima assoluta in una coppa europea. “Abbiamo avuto la sorte dalla nostra parte”, ha commentato onestamente Louis van Gaal a fine partita. Altre parole in effetti sarebbero state fuori luogo dopo i pali colpiti da Edson e Dedè, il salvataggio all’ultimo respiro di Steinsson su Roversio e le diverse occasioni sprecate, anche grazie a un po’ di imperizia sotto porta, dal sorprendentemente aggressivo Pacos. Nell’Az ci si attendeva Graziano Pellè in campo dal primo minuto, invece Van Gaal gli ha preferito Ari, assolutamente spento, facendo entrare l’italiano solamente al minuto numero sessanta. Il cambio giusto è stato però azzeccato quattordici minuti dopo con l’ingresso di Sebastien Pocognoli, match winner allo scadere. Un gol importantissimo per una squadra che stenta ancora terribilmente a imporre il proprio gioco come invece accadeva nelle ultime stagioni. Il rientro di Schaars e Mendes da Silva, più il risveglio di Martens, diranno se questo è solo un malessere passeggero.

Groningen. E’ durata poco più di mezzora la supremazia del Groningen sulla Fiorentina, poi i viola hanno preso le misure facendo valere il loro miglior tasso tecnico. Non potendo annoverare tra le proprie file un Montolivo o un Liverani, né tantomeno un Mutu, il Groningen ha puntato sulla corsa e sulla fisicità per sopravanzare gli uomini di Prandelli, ma una volta terminata la benzina ha addirittura rischiato il ko. Bene la difesa con Sankoh e Kruiswijk che hanno annullato il lentissimo Vieri, ottimo l’uruguaiano Bruno Silva, inarrestabile sulla fascia destra, mentre poco da segnalare dal centrocampo in su. In attacco ha deluso Nevland, dal quale ci si aspettava più spessore, mentre il giovane Nijland ha fatto ciò che poteva, supportato a sprazzi dal croato Lovre, autore del gol del momentaneo vantaggio ma anche uno dei primi a calare vertiginosamente alla distanza (clamorosa la chance gettata a fine partita in una situazione di contropiede due contro uno). Dopo le sconfitte con De Graafschap e Utrecht, anche stavolta il Groningen non è riuscito, a differenza degli anni passati, ad applicare la legge dell’Euroborg. Gli uomini di Jans finora rendono meglio in trasferta. Ma le chance di qualificazione, alla luce della qualità dell’avversario, rimangono flebili.

Heerenveen. Afonso Alves, chi è costui? Chi pensava che l’Heerenveen fosse dipendente dal capriccioso brasiliano capocannoniere dell’ultima Eredivisie è stato accontentato. Cinque gol sabato a Rotterdam contro l’Excelsior, altrettanti ieri all’Helsingborg, al termine di una partita scoppiettante giocata a viso aperto da due squadre che cercano di mascherare gli evidenti problemi della propria retroguardia con un atteggiamento tattico spregiudicato. Nei Frisoni si attendono gli assist di Pranjic e invece emerge l’americano Micheal Bradley, classe 87, già protagonista con gli Stati Uniti ai Mondiali under 20. Spetta a lui aprire e chiudere le marcature dell’Heerenveen, salvo poi macchiare parzialmente la propria serata con il fallo su Skulason per il rigore del 5-3 finale firmato da Henrik Larsson, assolutamente immarcabile per la frastornata difesa degli olandesi così come il compagno di reparto Omotoyossi. Dalla parte opposta ci pensa invece Gerald Sibon, doppietta, a tenere alta la bandiera dei vecchietti terribili. Una volta che Beerens (altro classe 87) e Sulejmani (classe 88), più rifinitori che finalizzatori ieri, avranno pienamente recepito gli schemi di mister Verbeek, allora l’Heerenveen potrà tornare davvero competitivo. E cacciare finalmente a calci Afonso Alves, come già desidererebbero fare ora molti giocatori della squadra.

Twente. Avversario tosto il Getafe, rivelazione di provincia dell’ultima Liga così come i Tukkers lo sono stati in Eredivisie. Partita a senso unico, ma c’è voluto un guizzo del nigeriano Uche al novantesimo per piegare la resistenza del club di Enschede, che si è presentato in Spagna senza rinunciare al 4-3-3 (con tutti i big in campo, da N’Kufo a El Ahmadi fino a Denneboom) ma con una chiara predilezione al contenimento. Un atteggiamento prudente che è stato accentuato nella ripresa dall’espulsione di Braafheid. Huysegems, imbeccato dal sempre ottimo N’Kufo, ha sfiorato il colpaccio presentandosi a tu per tu con Abbondanzieri, ma il numero argentino ha ancora una volta mostrato le proprie qualità nell’uno contro uno. Per il resto solo Getafe, con un grande Boschker a salvare di tutto e di più (vedi le velenose punizioni di Belenguer e Albìn). Si prevede un ritorno ad alto tasso emozionale.

ALEC CORDOLCINI

19 settembre 2007

[recap] Milan - Benfica 2-1



CVD. Senza idee, o con idee raffazzonate, in Europa si fa poca strada. Attenuanti generiche per le assenze sulla linea difensiva (Luisao, David Luiz e pure Zoro) possono essere pure concesse a Camacho, così come lo sfortunato stop di Petit, anima di questa squadra.. Il problema rimane: giocando così passivi l’unica cosa certa sono le brutte figure, come quelle di stasera in cui un Milan motivato ha disintegrato il Benfica. Anche per giocare in contropiede bisognerebbe avere qualche idea sulla gestione: il Benfica è tutto un raffazzonare, un insistere in uno contro uno: è produrre un calcio vecchio, stravecchio in cui tra l’altro non c’è nemmeno quel briciolo di garra che almeno queste partite dovrebbero iniettare. Il nulla di Camacho ( e di chi l’ha voluto, tra l’altro a campionato iniziato, quindi senza la possibilità di poter svolgere una preparazione mirata agli obiettivi di costruzione della squadra) è anche nell’attenzione della squadra in fase di non possesso: Pirlo libero di aprire il gioco: Cardozo a pressare sui due centrali (ma che senso ha, contro il Milan?) e Rodriguez e Di Maria in costante attesa dietro la metacampo, larghi, mai a “spingere” la pressione sui lati. Rui Costa cammina, ma quando ha la palla è l’unico che accende l’azione, con iniziative individuali mai inserite in uno spartito, ovvio: quindi male strutturate, col risultato di transizioni che concedono al Milan continue situazioni pericolose, addirittura, in alcuni casi, la parità numerica. Insomma, tutto quello che non si doveva fare, si è fatto. Milan troppo superiore? Certo, anche con Fernando Santos probabilmente l’avrebbe portata a casa e, se girava in un certo modo, pure con un risultato più largo, certo o Engenheiro se la sarebbe giocata di più. Bisognava inventare qualcosa per ottenere qualcosa: la linea a 3 dietro avrebbe certamente levato dalla partita uno tra Di Maria e Rodriguez, il “salvato” (per noi, Di Maria) avrebbe dovuto affiancare Cardozo – magari spostato nella zona di Jankulovski o Oddo per evitare il continuo appoggio dei terzini all’azione- con Rui Costa dietro. Però si poteva sperare in un maggiore pressione a centrocampo. E invece nulla: un’esibizione vinta meritatamente, e anche di più, dal Milan.


MARCATORI: al 9' pt Pirlo (M), al 23' pt Inzaghi (M); al 47' st Nuno Gomez (B)

MILAN (4-3-2-1)
: Dida; Oddo (dal 36' st Bonera), Nesta, Kaladze, Jankulovski; Gattuso, Pirlo, Ambrosini; Kakà, Seedorf (dal 30' Emerson); Inzaghi (dal 39' Gilardino). A disp.: Kalac, Favalli, Simic, Brocchi. Allenatore: Ancelotti.
BENFICA (4-2-3-1): Quim; Luis Felipe, Miguel Vitor (dal 28' st Binya), Edcarlos, Leo; Maxi Pereira, Katsouranis; Di Maria, Rui Costa (dal 42' st Nuno Assis), Rodriguez; Cardozo (dal 18' st Nuno Gomes). A disp.: Butt, Nelson, R. Ribeiro, Bergessio. Allenatore: Camacho.

Spettatori 38.358

Stadio San Siro, Milano - 18 settembre 2007

CARLO PIZZIGONI

14 settembre 2007

[analisi] Benfica

Una mina vagante che rotola per l’Europa. Luís Filipe Vieira, presidente del Benfica, ha licenziato l’allenatore Fernando Santos e il suo progetto di calcio razionale dopo un precampionato poco convincente e una giornata di campionato stentata. Vulcanico, irascibile, scostante Vieira ha creato un guazzabuglio in cui si fatica a intravedere pianificazione, però le Aquile fanno lo stesso paura: i giocatori affidati ora a José Antonio Camacho, gloria merengue, sergente di ferro ben voluto dalla tifoseria e amico personale del presidente, in giornata favorevole possono mettere sotto tanta gente in Europa. A dispetto delle pesanti perdite dell’estate (Simão, Miccoli e Manuel Fernandes) le Aquile hanno investito su giovani magari non conosciutissimi ma di sicuro valore: Angel Fabio Di Maria, ex Rosario Central e tra i migliori nella vittoria argentina del Mondiale under 20, è un piccolo genio, una mezzapunta mobile capace di inventare e concludere , Oscar Cardozo, paraguagio prelevato dal Newell’s, un cannoniere sottovalutato che ha già cominciato a impallinare i portieri lusitani, e Cristian Rodríguez, detto Cebolla, ha fatto piangere diversi avversari nella recente Copa America. Rui Costa, dopo un anno disgraziato, ha iniziato alla grande la nuova stagione e insieme a Petit, dovrà assicurare un contributo di solidità mentale che, viste le mattane del presidente (anche un altro “vecchio” dello spogliatoio, Nuno Gomes, ha chiesto apertamente alla società “tranquillità per lavorare”), sarà indispensabile in tutta la stagione e in Europa soprattutto. Abbandonate quindi le sperimentazioni di Fernando Santos, con Camacho si ritorna a un 442 (o 4411) scarno, con recupero basso della palla, movimenti eminentemente verticali per creare profondità e puntare la porta (così come nella precedente versione del Benfica di Camacho –anni 2002/2004 – dove esplose il Tiago oggi alla Juve), contropiede, se possibile, quindi ritorno immediato nelle zona di competenza appena persa palla: si rinuncia così al pressing alto che voleva “O Engenheiro” e si ritorna alla pressione in forma di blitz in zone predeterminate. Il tecnico murciano punta molto sul suo carisma e sulla compattezza dello spogliatoio, ora disorientato ma non (ancora?) diviso. Sono tutti curiosi di vedere che ruolo avranno Adu (classe 1989), reduce da un grande Mondiale giovanile con gli USA, e Yu Dabao (1988), giovane speranza del calcio cinese.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Guerin Sportivo

13 settembre 2007

[analisi] La Svizzera verso l'Europeo

La Svizzera, co-organizzatrice dell'Europeo dell'anno prossimo, ha partecipato al torneo "dei continenti" appena disputato in Austria (l'altra nazione che organizza l'Europeo), cui hanno partecipato anche Giappone e Cile.
Paolo Galli, giornalista del Giornale del Popolo, ha visto le due partite della nazionale rossocrociata dal vivo e gentilmente ci ha concesso la possibilità di pubblicare degli articoli apparsi sul quotidiano di Lugano. A margine, una riflessione sulla condizione attuale della compagine Svizzera.


SVIZZERA - CILE 2-1

Vienna. Un passo indietro rispetto alle ultime incoraggianti prestazioni (contro Argentina e Olanda). Nel freddo e sotto la pioggia di Vienna, gli svizzeri si sono ritrovati, come gamberetti, a ripercorrere quella fase che sembrava ormai superata. Non c’è buona prestazione del Cile - schierato con un'inedita difesa a quatto da Bielsa - che tenga, già, perché all’Ernst Happer Stadion, a non funzionare è stata proprio la formazione di Köbi Kuhn. Fortunatamente c’è subito un’altra occasione, martedì contro il Giappone a Klagenfurt, per tornare a mostrare il meglio di sé. In campo con l’ormai classico 4-4-1-1, i rossocrociati hanno affrontato bene almeno la fase iniziale, come sottolineato d’altronde dallo stesso Kuhn: . Davvero bellissimo. Un’azione di prima tra Behrami, Inler, Margairaz, Degen e infine Barnetta, il cui tiro è stato rimpallato in rete da Fuentes. Poi però...

Da lì è nato il gol di Sanchez (da seguire!), bravo a sorprendere un comunque colpevole Zubi con un tiro dal limite dell’area. . Già sono stati utili nella pausa, visto che la Svizzera è rientrata in campo con maggiore rigore, ma anche con tre volti nuovi, quelli di Vonlanthen, Streller e, nuovissimo, Eggimann. I tre si sono fatti preferire ai titolari, ma... .

L’attaccante del Basilea addirittura si è creato tre occasioni da gol, sfruttando la prima per il definitivo 2-1 al 55’ con un preciso diagonale su assist di Vonlanthen. Poi ancora un po’ di sofferenza nel mantenere intatto il risultato in un ambiente anche un tantino surreale. ci si può accontentare.


Reti: 13’ Barnetta 1-0; 44’ Sanchez 1-1; 55’ Streller 2-1.

Svizzera: Zuberbühler; Degen, Djourou (46’ Eggimann), Senderos, Magnin; Behrami (46’ Vonlanthen), Celestini, Inler (87’ Huggel), Barnetta (74’ Spycher); Margairaz (65’ Yakin); Nkufo (46’ Streller).

Cile: Bravo; Alvarez (87’ Fierro), Riffo, Fuentes, Vidal (66’ Estrada); Isla (66’ Jimenez), Iturra; Fernandez; Sanchez, Suazo (84’ Salas), Rubio.


Ernst Happel Stadion di Vienna, 2.500 spettatori

SVIZZERA - GIAPPONE 3-4

Klagenfurt. Doveva essere la partita delle conferme, e invece è saltato tutto per aria. La Svizzera si è ritrovata quindi due passi indietro, si è risvegliata confusa e con qualche insospettabile dubbio di troppo. Colpa del Giappone? No di certo. Modesto avversario, lo si era capito bene nel corso del primo tempo, e non c’era Nakamura che tenesse. Colpa solo della Svizzera stessa, incapace di gestire una situazione di comodo, di chiudere una partita che sembrava predestinata sin dai primi minuti di gioco, di sfruttare una rara occasione per mettere in risalto persino le singole individualità.

Se nel primo tempo, il vivere di rendita sembrava poter essere abbastanza per avere la meglio sui giapponesi, nella ripresa, la verve degli asiatici si è ridestata, trovando impreparata e quasi addormentata la nazionale di Kuhn. . Cosa i giocatori svizzeri abbiano preso nella pausa, non lo possiamo sapere, e non possiamo certo attribuire la colpa del crollo ai due cambi. È mancata la concentrazione, la voglia di sacrificarsi nel restare ordinati fino in fondo. E poi ancora una volta si sono visti i limiti di questa squadra nel gestire i ritmi, nell’alternare accelerazioni e frenate. La dote principale di una grande squadra. Ecco, la Svizzera si è ritrovata piccola proprio sotto quest’aspetto. Le prime avvisaglie, anche se sicuramente minori, più timide, erano piombate sul nuovissimo (e bello, davvero) Wörthersee Stadion già nel primo tempo. Vittime principali Huggel e, in particolar modo, Margairaz. Dal centro era impossibile attendersi cambi di marcia.

E pensare che, come detto, era stata proprio la Svizzera a centrare per prima il bersaglio. Irrisoria la facilità nel trovare la fuga, due gol, il primo su schema di punizione con Magnin, il secondo su rigore di Nkufo per atterramento ai danni dello stesso Magnin. Nella ripresa, il tracollo rossocrociato. La doppietta su rigore di Nakamura, intervallata dalla rete di testa di Maki: e sempre, di mezzo, gli errori di Behrami, sfortunato protagonista in negativo dei due falli e della marcatura errata; tre suoi errori diretti e tre gol per il Giappone. La rete di Djourou da azione di calcio d’angolo e, al 92’, quella di Yano, opportunista a sfruttare un tap-in da una splendida parata di Benaglio, hanno chiuso la partita: 4-3 per gli uomini di Osim. Una sconfitta bruciante.

Ma la scottatura non è stata tanto causata dal risultato, ma proprio dall’attitudine con cui è stata affrontata la partita, in particolare la sua seconda frazione. Gli errori dei singoli, il marasma che ne è scaturito, la mancanza di personalità di alcuni attesi protagonisti, l’incapacità nel difendere un facile successo, una serie altrimenti vincente. Kuhn sperava di poter chiudere al meglio questa tournée, al di là di tutto interessante, ma questo calo ha destato tanta preoccupazione. Ora i dubbi sono aumentati, anche in merito alla capacità di alcuni elementi di sopportare il peso di certe responsabilità. Non mancheranno le occasioni per ritornare a camminare in avanti, ma questo, a caldo, è stato davvero un brutto brusco risveglio.

Reti: 11’ Magnin 1-0; 13’ Nkufo (rigore) 2-0; 52’ S. Nakamura (rigore) 2-1; 68’ Maki 2-2; 77’ S. Nakamura (rigore) 2-3; 81’ Djourou 3-3; 92’ Yano 3-4.

Svizzera: Benaglio; Behrami, Von Bergen (84’ Eggimann), Senderos, Magnin (46’ Barnetta); Vonlanthen (70’ Lichtsteiner), Huggel (69’ Celestini), Inler (78’ Djourou), Spycher; Margairaz (46’ Yakin); Nkufo.

Giappone: Kawaguchi; Kaji, Nakazuka, Tanaka, Komano; Inamoto; S. Nakamura (90’ K. Nakamura), Suzuki, Endo (84’ Sato), Matsui (70’ Yamagishi); Maki (80’ Yano).

Wörthersee Stadion di Klagenfurt, 19.500 spettatori;

PAOLO GALLI

  • Austria e Svizzera sulla stessa barca. “Elveticocentrici” come siamo, ovviamente non spenderemo che una riflessione sui nostri vicini di casa, ma è perlomeno da evidenziare che anche loro vivono la stessa astinenza da competizione vera, da partite che contano sul serio. Comunque, intendiamoci, non vogliamo certo far passare questa problematica per un alibi alle recentissime brutte prestazioni di svizzeri e austriaci. Gli “aquilotti” sono usciti dal loro torneo addirittura con le ali rotte, dopo il pareggio contro il Giappone e la sconfitta per 2-0 subita dal Cile, 180’ senza segnare neppure un gol. I rossocrociati hanno almeno portato attraverso il confine una vittoria (sui cileni), sì, che però non ha accontentato nessuno. Insomma, il “torneo dei continenti” – definizione assurda per una competizione dalla formula ancora più assurda – non ha dato i verdetti auspicati, né sul piano dei risultati, né tanto meno su quello del gioco. Forse è servito soltanto al giovane Cile – anche se ha poi vinto il Giappone –, ma, con tutto il rispetto, potete ben immaginare quale sia il nostro reale interesse nei confronti del movimento calcistico cileno con un campionato europeo alle porte che la Svizzera vorrebbe vivere da protagonista.

  • Subito dopo i Mondiali dello scorso anno, ricordo che si sprecavano i “fondi” in cui si paragonava l’avvicinamento a quell’evento da parte della Germania, a quello che attendeva la Svizzera in vista degli Europei. Ebbene, i tedeschi, sotto la guida a distanza, dalla California, del moderno e multi...modale Klinsmann, riuscirono a studiare una preparazione miratissima, che infatti ebbe un effetto ottimale al momento decisivo. Quel tipo di programmazione, e soprattutto quel senso di protezione del progetto stesso, non riusciamo invece ad intravederli ora da parte della nazionale svizzera di Köbi Kuhn. Troppi i cambiamenti in corsa, troppe le incertezze mascherate da dati di fatto, troppe le debolezze fisiche e caratteriali. E ieri si è persa anche quella sensazione di squadra in (lento ma effettivo) divenire. La Germania, nelle due annate precedenti i Mondiali, dall’agosto 2004 (dopo il disastroso Europeo portoghese) al giugno 2006, giocò 27 partite amichevoli, ottenendo 15 vittorie e 7 pareggi, solo 5 le sconfitte, tra le quali quella rovinosa di Firenze. La Svizzera, dalla fine dei Mondiali ad oggi, ha disputato solo 12 gare (6 vittorie, un pareggio e 5 sconfitte), due o forse tre sono in programma entro la fine dell’anno, poi rimarranno soltanto le bricioline, gli ultimissimi test. Manca poco tempo.

  • Una delle voci che è tornata a farsi largo prepotentemente tra i discorsi della combriccola di addetti ai lavori al seguito della nazionale svizzera, riguarda il reale ruolo di Kuhn all’interno dello staff tecnico della “nati”. . . E la verità? Alcuni cambiamenti di rotta intrapresi in questi ultimi mesi fanno credere che qualcosa o qualcuno, al di là dell’innesto di Knup, abbia portato a modificare le gerarchie. Il fatto è che queste stesse voci già circolavano prima dei Mondiali, non sono una novità. Eppure, per fare un esempio, le convocazioni di Nkufo e Celestini – checché ne dicano i diretti interessati – fino a qualche tempo fa non si potevano neppure nominare. Il peso di Kuhn, il peso di Pont, il peso di Knup, il peso dei dirigenti... vacanzieri, e le idee si confondono. Parlando con i giocatori, parrebbe che addirittura il selezionatore titolare ultimamente non si faccia mai neppure sentire, né nello spogliatoio, né in allenamento, e che la situazione sia passata nelle mani del suo vice. Ma il manifestamente ambizioso Pont sarebbe in grado di guidare una nazionale chiamata all’evento della vita?

PAOLO GALLI - Fonte: Giornale del popolo - Lugano

08 settembre 2007

[analisi] Il nuovo Cile di Marcelo Bielsa

E' iniziata ieri l'avventura di Marcelo Bielsa sulla panchina del Cile. Un inizio con sconfitta (2-1 dalla Svizzera)ma anche con alcune cose pregevoli. Mercoledì bis con l'Austria.
Di seguito il mio pezzo di presentazione, pubblicato sul giornale svizzero Il Corriere del Ticino.

Il futuro è adesso. Il calcio cileno sta crescendo, la selezione giovanile (la Rojita) ha raggiunto il terzo posto nel recente Mondiale giovanile in Canada, proponendo giocatori già pronti per la selezione maggiore e prospetti interessanti. Non perdere l’occasione: dopo gli anni di Nelson Acosta in cui lotte fratricide tra diversi clan hanno distrutto lo spogliatoio, con il tecnico intento più a mantenere la panchina e quindi a gestire il traffico più che ad allenare, si è deciso un taglio netto. Rivoluzionario, addirittura. E’ stato scelto Marcelo Bielsa, argentino, tecnico tra i più arditi in circolazione quanto a sperimentazioni tattiche, che debutta sul “pino” della Roja proprio con le due amichevoli contro Svizzera e Austria a Vienna. Bielsa, il cui fratello Rafael è apprezzato politico (è stato ministro con l’attuale presidente Kirchner), è un allenatore davvero fuori dal comune. Buon giocatore, “el Loco”, come lo chiamano in Sudamerica, ha vinto da tecnico titoli in serie con Newell’s e Vélez, inventando calcio, prima di sedersi sulla panchina della Nazionale argentina e mettere in bacheca “solo” un oro all’Olimpiade greca del 2004: da lì, dimissioni e il silenzio, nonostante le continue sollecitazioni di tante squadre, Boca su tutte. Cervellotico, sorprendente Bielsa è tornato ai campi da gioco dove proprio nessuno se l’aspettava. Mossa da “Loco”, appunto. Forse convinto dalle potenzialità di quei ragazzi che in Canada hanno fatto tanto bene. A poche settimane dalla nomina, mossa alla Bielsa: prima convocazione per uno stage di tre giorni, solo 13 elementi tra cui spicca Marcelo Salas, centravanti dalla tecnica cardinalizia, ammirato in Italia con Juve e Lazio, ma considerato al capolinea della carriera, che ha voluto chiudere in patria, all’Universidad de Chile. “ Marcelo è un grande giocatore, l’età non conta.” Conta la testa, conta il” vedere calcio”, conta il leggere le situazioni nel 3313, modulo per antonomasia del tecnico rosarino. Nel primo allenamento in Europa ovviamente grande spazio alla tattica: linea difensiva impostata su Ismael Fuentes, ottimo avvio di stagione per lui nei Jaguares in Messico, Waldo Ponce, rianimatosi dopo la brutta esperienza in Germania di un paio di anni fa quando giovanissimo si trasferì al Werder, e Arturo Vidal, classe da vendere, testa da registrare, polivalente talento, mattane a parte uno dei più convincenti giocatori dell’ultimo Mondiale giovanile, dove ha fatto sia il difensore che la mezzapunta. Senza dimenticare l’esperienza di Miguel Riffo e la voglia di emergere di Mauricio Isla, altro giovanissimo “multiruolo”su cui ha scommesso l’Udinese. Con Mark Gonzalez (Betis) leggermente infortunato e l’esclusione a sorpresa di Arturo Sanhueza (ritorna invece Luis Jimenez dell’Inter), in mezzo al campo dovrebbero giocare Manuel Iturra, Marco Estrada (entrambi alla “U”, come Salas) e Hugo Droguett, che gioca, e bene, in Messico ai Tecos di Cesar Menotti. Dietro le tre punte, il genio di Mati Fernandez del Villareal, atteso quest’anno alla definitiva consacrazione. In mezzo all’attacco Humberto Suazo, sottovalutatissimo cecchino, leggermente acciaccato, ora pure lui in Messico al Monterrey. Nei ruoli di “Wines”, terminologia del Bielsa per indicare gli esterni d’attacco che devono “aprire” il campo e generare opzioni sulla fasce (settore strategico del calcio bielsista), Eduardo Rubio e Carlos Villanueva si giocano un posto mentre l’altro dovrebbe essere già assegnato al “Niño Maravilla”, Alexis Sanchez, acquistato dall’Udinese giovanissimo, prospetto di crack, attualmente in prestito al River Plate. Da domani, col Cile ci si diverte.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Corriere del Ticino. www.cdt.ch